La sindrome di Alice nel Paese delle Meraviglie: metafora di un'epoca smarrita nell’ “edopo”

La sindrome di Alice ed altre illusioni moderne

Viviamo in un'epoca che corre. 

Il tempo sembra non bastare mai, le giornate si accavallano, e il presente si dissolve in una nebbia di notifiche, impegni e attese. 

Ci muoviamo continuamente, ma senza sapere bene dove stiamo andando. È come se qualcosa ci sfuggisse — forse noi stessi.

In questo scenario, una rara condizione neurologica, la sindrome di Alice nel Paese delle Meraviglie, può diventare una potente metafora del nostro tempo: chi ne soffre sperimenta distorsioni percettive: oggetti che cambiano dimensione, il tempo che rallenta o accelera, la sensazione di essere fuori misura rispetto al mondo. Tutto diventa irreale.

E se fosse proprio questa la condizione in cui viviamo oggi?

L’uomo contemporaneo sembra colpito da una patologia invisibile ma diffusa: la sindrome del “edopo”, ogni cosa è rimandata ad un tempo futuro, indefinito, in cui finalmente ci sarà spazio per vivere davvero.

"Farò dopo. Starò bene dopo. Mi fermerò dopo."

Il problema è che quel "dopo" spesso non arriva mai ed intanto, il presente viene sacrificato, svuotato, ignorato. 

È una forma di assenza da sé: una corsa perpetua verso un punto che si sposta sempre un passo più in là.

L’attimo perduto, viviamo il momento, ma non lo abitiamo. Siamo fisicamente presenti, ma sempre mentalmente altrove, proiettati spesso nel futuro. Ogni istante è attraversato in fretta, come se non fosse abbastanza importante da meritare attenzione.

Il risultato è una vita fatta di ricordi vaghi e desideri futuri, ma priva di pienezza nell’ora. Un vuoto travestito o forse colmato da movimento..

Più attuale che mai ritroviamo Alice ed il Bianconiglio come due facce della stessa epoca, la nostra epoca. 

Tutti come il bianconiglio sempre con l'orologio in mano, sempre in ritardo, di corsa contro un tempo che non si ferma mai, corriamo per non perdere qualcosa, ma spesso non sappiamo nemmeno cosa, e nel mentre perdiamo noi stessi. 

Allo stesso tempo ci sentiamo come Alice: spaesati, trascinati dentro un buco che non abbiamo scelto, in un mondo che cambia continuamente forma, dove le regole non sono più chiare, dove non si distingue realtà da finzione, dove spesso tutto sembra irreale.

Siamo diventati il paradosso di chi, allo stesso tempo rincorre il tempo e di chi lo subisce, vittime di questa contraddizione esistenziale: accelerare per trovare qualcosa che forse si trova solo rallentando.

Come nella sindrome di Alice, il tempo moderno si deforma: corre quando vorremmo fermarlo, si blocca quando lo vorremmo rapido, non abbiamo più il controllo. 

Il tempo non è più qualcosa che viviamo, ma qualcosa che subiamo, spesso senza  nemmeno accorgersene.

Lo spazio che si dissolve, viviamo gran parte della nostra esperienza in ambienti digitali dove tutto è replicabile, filtrato, modificato… Le distanze non si misurano più in chilometri, ma in click. 

Non ci orientiamo più nel mondo, ma in un flusso continuo di contenuti, mentre il corpo si fa assente, svanisce anche la nostra identità. 

La nostra identità cambia forma continuamente, modellata da continue aspettative, spesso esterne, algoritmi, confronti costanti… Come Alice, anche noi ci troviamo a crescere od a rimpicciolirci, a seconda di dove ci troviamo e di chi ci osserva. 

Ma chi siamo davvero, cosa rimane di noi sotto la superficie?

Forse la sindrome di Alice non è più solo una mera anomalia neurologica, ma il simbolo di un’epoca che ha dimenticato l’arte di essere, sostituendola con l’urgenza del fare, e la continua esigenza di correre senza sosta. 

Siamo al contempo il Bianconiglio, sempre in ritardo e di corsa, ed Alice, smarriti nel labirinto del tempo, incapaci di vivere il presente.

E chissà che per ritrovare questo senso perduto, non serva inseguire un’altra direzione, ma fermarsi, respirare, ed imparare a restare, contro ogni impulso di fuga per riuscire a vedere il presente per quello che è: non un passaggio da attraversare in fretta, ma l’unico, sacro spazio in cui siamo la certezza di essere davvero vivi, pieni, liberi, autentici e radicati nell’attimo che ci rende eterni.

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